L'Aquila Rugby travolta a Parma: una squadra che non lotta più

23 Febbraio 2012   10:04  

L'Aquila Rugby torna da Parma a bocca asciutta e con tanti punti interrogativi in più.

In una stagione in cui la salvezza era il solo obiettivo a cui si poteva aspirare, ci si potrebbe aspettare che dove non si arriva per carenze tecniche si compensa con la grinta tipica di chi è abituato a lottare.

Ma la realtà è ben diversa: non vinciamo e non lottiamo più.

“Vergogna, questo non è rugby”. Non è il grido di un tifoso neroverde infuriato ma, sembra difficile da credere, è quanto urlato ieri da alcuni tifosi di Parma sconvolti dalla qualità del gioco aquilano.

Squadra che, come accaduto altre volte, sembra non avere capo né coda, subisce per tutta la partita il gioco dei Crociati (fino a ieri fanalino di coda), e non accenna mai una reazione, quantomeno emotiva, allo strapotere avversario.

Le due mete tecniche, in virtù delle quali concediamo al Parma il punto di bonus, arrivano dopo il disastro in mischia, letteralmente distrutta dal pacchetto avversario. I due calci di punizione del primo tempo sono il frutto di mischie chiuse avanzanti dei Crociati, che portano a spasso per dieci metri gli aquilani.

Touche disastrose e scelte tecniche discutibili. L'impressione che si ha è quella di una squadra che non si riconosce più nello staff tecnico e che, anche per queste probabili incomprensioni, rischia di ritrovarsi coinvolta in un vortice distruttivo dal quale si esce solo a disastro ormai avvenuto.

Cosa stupisce più di tutto? L'assenza di un'esplosione di rabbia che dovrebbe essere la naturale reazione di chi sente lo schiacciante peso delle circostanze. Parafrasando la frase di un celebre film, il rinomato “Sono incazzato nero e tutto questo non lo sopporterò più”, calzante in ogni lotta umana, perfetta per la palla ovale.

Quanto traspare dal campo è invece l'immagine di chi non combatte neanche, di chi preferisce trovare alibi piuttosto che creare certezze. L'immagine di chi, con questa mentalità, rischia seriamente di retrocedere.

Matteo De Santis


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