Morte Morosini, motivazione sentenza, 60/70% di salvezza, se medici avessero usato defibrillatore

14 Dicembre 2016   15:10  

 "Tutti i medici che hanno collaborato e si sono avvicendati nei primi soccorsi a Morosini erano tenuti all'uso del defibrillatore". Ruotano attorno a questa argomentazione le 40 pagine di motivazioni che accompagnano la sentenza di condanna del medico del 118 Vito Molfese (1 anno), del medico sociale del Livorno Manlio Porcellini (8 mesi) e del medico del Pescara Ernesto Sabatini (8 mesi), per la morte del calciatore Piermario Morosini, avvenuta il 14 aprile 2012. Il giocatore della squadra toscana si accasciò a terra al 29' del primo tempo sul terreno di gioco dello stadio Adriatico di Pescara.

Quanto alle cause del decesso, il giudice del tribunale monocratico di Pescara, Laura D'Arcangelo, ha ritenuto condivisibili le conclusioni dei periti, secondo le quali "Morosini è stato colpito da fibrillazione ventricolare indotta dalla cardiopatia aritmogena da cui era affetto e dallo sforzo fisico intenso". È stato escluso che Morosini sia stato colto da una possibile asistolia, sulla quale non sarebbe stato possibile intervenire efficacemente con il defibrillatore. Una volta stabilito che il defibrillatore era presente sul campo e che andava utilizzato tempestivamente, il giudice si è dunque occupato di individuare le responsabilità di chi avrebbe dovuto utilizzarlo.

D'Arcangelo affronta il nodo del nesso di causalità tra le condotte colpose dei medici e il decesso di Morosini, affrontato in sede di dibattimento a colpi di perizie e pareri degli esperti.

"Tutti gli elementi consentono di ritenere che le probabilità di ripresa del ritmo cardiaco e quindi di scongiurare la morte in quel momento e con quelle modalità - è scritto nelle motivazioni - sarebbero quantificabili, nei primi tre minuti dal collasso, qualora fosse stato utilizzato il Dae, intorno al 60/70 per cento".

Una valutazione compiuta soprattutto alla luce del fatto che "Morosini era un soggetto giovane (26 anni), in condizioni fisiche che gli avevano consentito di esercitare per anni attività sportiva a livello professionale, e la cardiopatia aritmogena dalla quale era affetto, del tutto asintomatica fino all'insorgenza della fibrillazione ventricolare, interessava un'area del muscolo cardiaco molto limitata". 


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